Quando sono uscita dalla depressione post parto mi sentivo un'altra persona, completamente diversa. Un po' come la donna che descrivi alla fine, ne avevo abbastanza del marketing e volevo aiutare le persone. Non mi sono fermata a considerare che nel giro di un anno avevo: avuto un aborto spontaneo, ero rimasta incinta, avevo partorito un essere umano nuovo di cui prendermi cura totalmente ed ero praticamente da sola a farlo, ho avuto una depressione post parto, è arrivato il covid, mi sono trasferita a Budapest lasciando Parigi. Insomma nella mia vita era scoppiata una bomba, mentre io prendevo decisioni cruciali sulla mia carriera lavorativa in giro c'erano solo polvere e macerie e io pensavo di vederci, di vedermi, perfettamente in mezzo a tutto quel caos.
Solo dopo quattro anni di altro caos mi sono data il permesso, stremata, di stare ferma. Di lasciar posare la polvere, e solo dopo di provare a passare la scopa (neanche l'aspirapolvere, la scopa, per fare più fatica). In un anno e più di stasi, ho tenuto le cose fondamentali senza cercare di darmi un nome né di capire in che modo ero cambiata perché poi queste cose quando stai ferma vengono a galla da sole (e certo, vado in terapia). Questo per dire che non posso neanche immaginare cosa significa scampare a una possibile sentenza di morte, e che magari il senso del tuo lavoro tornerà piano piano (o magari no) ma che il tempo noioso, uguale a se stesso e forse senza senso è una risorsa preziosa, che anche da solo e con estrema lentezza può essere capace di restituirti a chi eri mentre diventi una persona nuova. Un abbraccio!
Grazie per questa condivisione. Penso di dovermi dare del tempo, io a volte voglio tutto e subito. E, diciamocelo, sono stufa di aver pazienza. Così, in generale. We're allowed, eh. Ti abbraccio 🩷
Userò anche io una immagine trita e ritrita ma credo che sia un'occasione. Ogni nostro cambiamento è un occasione per un necessario repulisti dell'orizzonte umano che ci circonda. Ci saranno persone che vorranno vederti per com'eri perché magari non ti hanno vista mai e persone che cercheranno di capire, con grazia e con il tempo, cosa di te è cambiato. E questa è un'occasione. Perché potremmo dare un nome ai primi, e un nome proprio ai secondi.
Ma, in generale, credo sia sano cercare di smettere di caricare di senso il lavoro. Non mi sembra casuale che chi lo faccia, spesso sceglie professioni che aiutano il prossimo. Perché se lo cerchi, quello sembra l'unico lavoro con un intrinseco e innegabile purpose. Ma, e lo rubo da una newsletter letta qualche giorno fa (“Brand love” won’t save your soul) inizio a credere che il nostro primo compito sia fare bene il nostro lavoro, quando lo facciamo. Cercando in ogni modo di non farlo iniziare prima (io lo sogno la notte, btw) e di non portarcelo a casa. È questo il suo purpose, restare un lavoro, garantendoci il tempo e il modo di restare umani. Dentro al lavoro, se siamo fortunati. Ma fuori, soprattutto fuori.
Pensavo da giorni ascoltandoti e ora leggendo qui che certe rivoluzioni del pensiero e poi della vita avvengono solo quando le incarniamo, letteralmente, cioè quando il corpo è coinvolto. Lo scriveva sopra Francesca, il parto, l’aborto, la depressione, o il cancro, il covid, gli attacchi di panico, passano dal corpo e quello che passa da lì non si può ignorare. “Prima” potevamo anche avere certi pensieri sul lavoro, su come deve essere, su come lo avremmo voluto, ma “dopo” che viene coinvolta in maniera violenta anche la nostra carne e la nostra pelle è come se non potessimo più ignorare quella lampadina accesa (o sirena d’allarme, dipende).
Ogni volta che guardavo Hulk back in the old days mi chiedevo come faceva ogni volta con i vestiti e perché si ostinava sempre a riprenderli uguali. Non si torna più come prima, proprio per niente, ma credo che Hulk ci insegni che passiamo per una nudità in questo cambiamento, una forma più essenziale e genuina di noi stessə. Credo che questo sia il tesoro più grande.
Quello che non so è se davvero le persone al lavoro si aspettano che si possa essere uguali, o se semplicemente cercano di mettere in atto le vecchie dinamiche per misurare quanto ci discostiamo da quello che eravamo.
Quello che so è che, anche al lavoro, le persone che hanno voglia di sapere come siamo davvero fatte at this point lo fanno con delicatezza e gentilezza, usando una pazienza che forse manco noi riusciamo ad averci.
George Carlin lo descriveva così: "Hai mai quella strana sensazione di vuja de? La netta sensazione che in qualche modo qualcosa che è appena successo non sia mai successo prima. Niente ti sembra familiare. E poi improvvisamente la sensazione svanisce."
È Proust e il suo viaggio con occhi nuovi, ma ciò che mi affascina è quella durata brevissima. Poi ci si abitua. Svanisce.
È successo con la pandemia. Tutti pronti a fare cose diverse, vivere, curare affetti...
Ora, per quanto tu sappia che odio ogni genere di illuminazione e catarsi, il mio augurio è proprio questo: sfruttare questo momento per vedere e fare qualcosa di davvero diverso.
La strana idea del direttore che ti chiama e ti chiede è fantastica.
Io personalmente aspetto ancora che qualcuno mi dica: "Ok, adesso come vedi il mondo, come vedi il nostro rapporto, come ci relazioniamo..."
🥲 anche io malata oncologica. Fatto chemio, operata a febbraio, ora in cerca di un lavoro nuovo perché mi ero dimessa prima di scoprire della malattia... Blablabla... Questa tua newsletter la sento sotto pelle.
Posso dire che, nonostante il trauma che hai vissuto, un po' ti invidio? Hai amiche con cui parlare, e che attorno fanno una rete per cui se cadi ti sostengono; vivi all'estero; non fai un lavoro impiegatizio. Ma soprattutto non sei sola. Questa cosa fa parte, invece, della mia vita, e mi addolora profondamente. Non è sempre stato così, la mia casa era un porto di mare. Poi, col tempo, le cose cambiano, nel mio caso non certo in meglio. Vorrei stare bene anche con quello che ho, che faccio, che sono, perciò un mese fa ho iniziato un percorso terapeutico, ma ho speso soldi inutilmente, non è il terapeuta giusto. Ne cercherò un altro, magari nel servizio pubblico perché non posso permettermi altro. Ho fatto decine di seminari, corsi; seguito percorsi di "crescita personale"...ma mi trovo sola. Forse sono cambiata così tanto da essere diventata insopportabile. Scusami, ho scritto praticamente solo su di me, ma è quello che mi ha sollecitato il tuo racconto. Mi piace molto il tuo modo di scrivere.
Quando sono uscita dalla depressione post parto mi sentivo un'altra persona, completamente diversa. Un po' come la donna che descrivi alla fine, ne avevo abbastanza del marketing e volevo aiutare le persone. Non mi sono fermata a considerare che nel giro di un anno avevo: avuto un aborto spontaneo, ero rimasta incinta, avevo partorito un essere umano nuovo di cui prendermi cura totalmente ed ero praticamente da sola a farlo, ho avuto una depressione post parto, è arrivato il covid, mi sono trasferita a Budapest lasciando Parigi. Insomma nella mia vita era scoppiata una bomba, mentre io prendevo decisioni cruciali sulla mia carriera lavorativa in giro c'erano solo polvere e macerie e io pensavo di vederci, di vedermi, perfettamente in mezzo a tutto quel caos.
Solo dopo quattro anni di altro caos mi sono data il permesso, stremata, di stare ferma. Di lasciar posare la polvere, e solo dopo di provare a passare la scopa (neanche l'aspirapolvere, la scopa, per fare più fatica). In un anno e più di stasi, ho tenuto le cose fondamentali senza cercare di darmi un nome né di capire in che modo ero cambiata perché poi queste cose quando stai ferma vengono a galla da sole (e certo, vado in terapia). Questo per dire che non posso neanche immaginare cosa significa scampare a una possibile sentenza di morte, e che magari il senso del tuo lavoro tornerà piano piano (o magari no) ma che il tempo noioso, uguale a se stesso e forse senza senso è una risorsa preziosa, che anche da solo e con estrema lentezza può essere capace di restituirti a chi eri mentre diventi una persona nuova. Un abbraccio!
Grazie per questa condivisione. Penso di dovermi dare del tempo, io a volte voglio tutto e subito. E, diciamocelo, sono stufa di aver pazienza. Così, in generale. We're allowed, eh. Ti abbraccio 🩷
Ah quando distribuivano la pazienza io dovevo essere al bar!
Twinsies! 🤣
Userò anche io una immagine trita e ritrita ma credo che sia un'occasione. Ogni nostro cambiamento è un occasione per un necessario repulisti dell'orizzonte umano che ci circonda. Ci saranno persone che vorranno vederti per com'eri perché magari non ti hanno vista mai e persone che cercheranno di capire, con grazia e con il tempo, cosa di te è cambiato. E questa è un'occasione. Perché potremmo dare un nome ai primi, e un nome proprio ai secondi.
Ma, in generale, credo sia sano cercare di smettere di caricare di senso il lavoro. Non mi sembra casuale che chi lo faccia, spesso sceglie professioni che aiutano il prossimo. Perché se lo cerchi, quello sembra l'unico lavoro con un intrinseco e innegabile purpose. Ma, e lo rubo da una newsletter letta qualche giorno fa (“Brand love” won’t save your soul) inizio a credere che il nostro primo compito sia fare bene il nostro lavoro, quando lo facciamo. Cercando in ogni modo di non farlo iniziare prima (io lo sogno la notte, btw) e di non portarcelo a casa. È questo il suo purpose, restare un lavoro, garantendoci il tempo e il modo di restare umani. Dentro al lavoro, se siamo fortunati. Ma fuori, soprattutto fuori.
Grazie per questo commento. Me lo rileggerò più volte, mi sa 🩷
Pensavo da giorni ascoltandoti e ora leggendo qui che certe rivoluzioni del pensiero e poi della vita avvengono solo quando le incarniamo, letteralmente, cioè quando il corpo è coinvolto. Lo scriveva sopra Francesca, il parto, l’aborto, la depressione, o il cancro, il covid, gli attacchi di panico, passano dal corpo e quello che passa da lì non si può ignorare. “Prima” potevamo anche avere certi pensieri sul lavoro, su come deve essere, su come lo avremmo voluto, ma “dopo” che viene coinvolta in maniera violenta anche la nostra carne e la nostra pelle è come se non potessimo più ignorare quella lampadina accesa (o sirena d’allarme, dipende).
Mi piace molto questa prospettiva. Grazie di averla condivisa qui 🩷
Ogni volta che guardavo Hulk back in the old days mi chiedevo come faceva ogni volta con i vestiti e perché si ostinava sempre a riprenderli uguali. Non si torna più come prima, proprio per niente, ma credo che Hulk ci insegni che passiamo per una nudità in questo cambiamento, una forma più essenziale e genuina di noi stessə. Credo che questo sia il tesoro più grande.
Quello che non so è se davvero le persone al lavoro si aspettano che si possa essere uguali, o se semplicemente cercano di mettere in atto le vecchie dinamiche per misurare quanto ci discostiamo da quello che eravamo.
Quello che so è che, anche al lavoro, le persone che hanno voglia di sapere come siamo davvero fatte at this point lo fanno con delicatezza e gentilezza, usando una pazienza che forse manco noi riusciamo ad averci.
Ti abbraccio fortissimo.
Tu mi vedi. You see me. You see through me. Amor mio!
I love youuuuu 💖
Su questo c'è un concetto bellissimo: il Vuja De.
George Carlin lo descriveva così: "Hai mai quella strana sensazione di vuja de? La netta sensazione che in qualche modo qualcosa che è appena successo non sia mai successo prima. Niente ti sembra familiare. E poi improvvisamente la sensazione svanisce."
È Proust e il suo viaggio con occhi nuovi, ma ciò che mi affascina è quella durata brevissima. Poi ci si abitua. Svanisce.
È successo con la pandemia. Tutti pronti a fare cose diverse, vivere, curare affetti...
Ora, per quanto tu sappia che odio ogni genere di illuminazione e catarsi, il mio augurio è proprio questo: sfruttare questo momento per vedere e fare qualcosa di davvero diverso.
La strana idea del direttore che ti chiama e ti chiede è fantastica.
Io personalmente aspetto ancora che qualcuno mi dica: "Ok, adesso come vedi il mondo, come vedi il nostro rapporto, come ci relazioniamo..."
Questa del vuja de mi pare una roba azzeccata. Oh, se fossimo amici te le farei io quelle domande. Giuro.
🥲 anche io malata oncologica. Fatto chemio, operata a febbraio, ora in cerca di un lavoro nuovo perché mi ero dimessa prima di scoprire della malattia... Blablabla... Questa tua newsletter la sento sotto pelle.
Ti abbraccio! 💖
Posso dire che, nonostante il trauma che hai vissuto, un po' ti invidio? Hai amiche con cui parlare, e che attorno fanno una rete per cui se cadi ti sostengono; vivi all'estero; non fai un lavoro impiegatizio. Ma soprattutto non sei sola. Questa cosa fa parte, invece, della mia vita, e mi addolora profondamente. Non è sempre stato così, la mia casa era un porto di mare. Poi, col tempo, le cose cambiano, nel mio caso non certo in meglio. Vorrei stare bene anche con quello che ho, che faccio, che sono, perciò un mese fa ho iniziato un percorso terapeutico, ma ho speso soldi inutilmente, non è il terapeuta giusto. Ne cercherò un altro, magari nel servizio pubblico perché non posso permettermi altro. Ho fatto decine di seminari, corsi; seguito percorsi di "crescita personale"...ma mi trovo sola. Forse sono cambiata così tanto da essere diventata insopportabile. Scusami, ho scritto praticamente solo su di me, ma è quello che mi ha sollecitato il tuo racconto. Mi piace molto il tuo modo di scrivere.
Ti faccio un grosso in bocca al lupo e spero che la mia scrittura, anche se roba piccola, ti faccia sentire un po' meno sola. Anche solo un pochino.
Un pochino sì, anche solo per il fatto di poterne scrivere. Grazie!